L'Islanda, per me
L'Islanda, per me, non esiste, è finta, ne sono convinta.
Is?-landa...
il paese che c'è? O il paese che esiste nella mente di chi lo vuole
vedere? Forse ho solo sognato di fare un viaggio, dopo tanto tempo.
Forse è una variante ancora non studiata, la più potente. Sta di
fatto che mi pare di essere stata al confine del mondo, su un
fazzoletto di terra che si condensa in mastodontici piruli fatti di
lava, invece che di sabbia bagnata, dove i brufoli del mondo
schizzano una bava infuocata e la terra ribolle sotto ad una specie
aliena di plancton che sguazza nel cielo. Credo di aver sognato di
essere stata su uno scampolo di mondo dove le corolle dei fiori
ricamate di cotone profumano come se fosse il loro primo giorno di
primavera. Dove le montagne - che sembrano matite mal temperate - si
nascondono sotto alla soffice coperta del muschio, spessa e dai lembi
sgualciti, che giunge sino all'oceano artico. Dove perfino i sassi
sono opere d'arte che godono di vita propria e dove le storie degli
esseri umani somigliano a improbabili fiabe.
L'Islanda
è eccessiva, esplosiva, è troppo per i miei occhi e per la mia
anima. Roba che se esistesse veramente si tratterebbe di un paese
oltre: oltre il pantone di colori dal quale rifugge dall'essere
incastonata, oltre la più fantasmagorica concezione umana, oltre la
definizione di selvaggio e fatato. Una landa dove gli elementi si
mescolano e il vero popolo nascosto è costituito dagli islandesi
stessi, che compaiono solo al bisogno e non è difficile capire
perché credano che gli elfi esistono veramente.
Questa
crosticina di terra malinconica - proprio come lo sguardo del suo
clown del mare - che si trova sopra ad una profonda ferita
irrimarginabile è servita a rammentarmi che si può risorgere dalle
proprie ceneri dopo un lungo inverno con un vigore clamoroso. E
quanto l'umanità e i suoi problemucci non siano altro che muffa per
questo mondo.
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